La raccolta degli ulivi

La raccolta degli ulivi

Luigi Capuana, Scurpiddu

Che festa, al tempo della raccolta delle ulive! I bacchiatori armati di lunghe pertiche, montati sugli alberi, cantavano a voce spiegata canzoni – come chiamiamo laggiù quel che i toscani chiamano rispetto – cantavano canzoni, quasi scandendole coi colpi battuti fra i rami per far cascare le ulive; e le coglitrici, chine attorno ai tronchi, rispondendo a coro, fra il gracchiare delle mulacchie, lo zufolare dei merli, il tubare delle tortore, da vicino, da lontano, sotto il bel cielo siciliano che in autunno è più incantevole che non nell’aprile e nel maggio. E la sera, al lume fumoso della lampada a olio, nel vasto strettoio, a veglia, scommesse tra le ragazze e i giovanotti, chi avrebbe saputo dire, di seguito, tante canzoni da riempire un moggio con le fave che dovevano servire a numerarle: canzoni di amore, di desiderio, di speranza, di dichiarazioni, di serenata, di promessa, di saluti, di separazione, di lontananza, di sventure, di morte, di carceri e carcerati, di santi, di madonne, di moralità, di satire, di scherzi,… d’ogni genere. E tutte quelle figure di brune contadinotte, dagli occhi nerissimi scintillanti dalla gioia della vinta scommessa, mi turbinavano dinanzi, insieme con altre figure di vecchiette che sapevano a memoria canti più assai di loro e li dicevano meglio.